giovedì 21 novembre 2024

SISTEMA IMPRESA

31-01-2020

Aiuti di stato, vincolo oppressivo per il mercato del lavoro

Cesare Damiano: «Incoerenza nei regolamenti UE, i percorsi di formazione continua non avvantaggiano la singola impresa ma sviluppano le competenze dei lavoratori»




L’erogazione della formazione finanziata rivolta alle aziende e l’attività dei fondi interprofessionali incontrano un forte ostacolo nella normativa europea che disciplina gli aiuti di stato. Una criticità contro la quale sta emergendo, all’interno del mondo politico-sindacale, uno schieramento traversale che coinvolge la confederazione Sistema Impresa e che richiede il superamento della situazione attuale svincolando gli stanziamenti dei fondi interprofessionali dall’obbligo di dover sottostare ai limiti e ai veti imposti dai regolamenti UE in materia di aiuti di stato. Ne parliamo con Cesare Damiano, già ministro del Lavoro e presidente dell’Associazione Lavoro E Welfare.

 

Che cosa ne pensa della proposta di abolire il concetto di aiuti di Stato se riferiti alla formazione?

Ritengo che la proposta sia del tutto condivisibile ma, per comprenderne appieno le ragioni, credo sia altresì opportuno fare chiarezza. In linea generale, è utile richiamare la definizione di “aiuto di Stato” prevista dall’art. 107 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), secondo cui sono incompatibili con il mercato interno gli aiuti concessi dagli Stati, cioè mediante risorse statali, “che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”.

Ebbene, i percorsi di formazione continua sono erogati principalmente per mezzo dei fondi paritetici interprofessionali per la formazione continua (art. 118, l. n. 388/2000), che attingono a risorse pubbliche.

Pertanto, tali attività formative rientrano nei limiti previsti per gli aiuti di Stato, in quanto finanziate attraverso fondi pubblici e destinate ad imprese specifiche che godono di un vantaggio competitivo in ragione dell’accrescimento delle competenze professionali dei propri lavoratori, per effetto della formazione ricevuta.

Alla luce di queste considerazioni si innesta l’impegno di Confindustria, Cgil, Cisl e Uil – annunciato il 19 settembre scorso, in occasione dell’evento organizzato per i 15 anni di Fondimpresa – volto a sollecitare l’Unione europea ad escludere i piani di formazione continua dal campo di applicazione del divieto degli aiuti di Stato. Questa iniziativa è condivisa peraltro da tutte le parti sociali e dagli altri Fondi Interprofessionali.

Senza ulteriori divagazioni si può sostenere che la bontà dell’iniziativa sta nel fatto che l’obiettivo della formazione continua non è quello di accordare un vantaggio competitivo alla singola impresa, ma quello di migliorare le competenze dei lavoratori, affinché possano al meglio spendersi nel mercato del lavoro. Tra l’altro, il lavoratore può sin da subito decidere di offrire le competenze acquisite ad altre realtà lavorative.

 

Gli aiuti di Stato sono ammessi dai trattati europei quando favoriscono il raggiungimento di un obiettivo di comune interesse come l’occupazione. Ma non è questa la finalità della formazione continua e finanziata?

La formazione continua persegue lo scopo più ampio di promuovere il lavoro, sia incentivando l’occupazione delle persone, sia supportando le carriere individuali degli occupati. Il rafforzamento e l’aggiornamento del know-how individuale è ormai divenuto indispensabile in un mercato del lavoro in continua evoluzione, caratterizzato, da una parte, dalla rapida evoluzione dei modelli di organizzazione del lavoro e da repentini progressi tecnici e tecnologici, dall’altra, da un invecchiamento progressivo della forza lavoro con conoscenze spesso obsolete, oltre che da un elevato numero di neets, cioè di giovani che non studiano, non si formano e non lavorano. Fattori, questi, che impongono l’esigenza di progettare percorsi di life-long learning in grado di intercettare i fabbisogni professionali dei lavoratori, affinché “tengano il passo” con le esigenze delle imprese. Insomma, la formazione continua sollecita il giusto matching tra domanda e offerta di lavoro.

D’altronde, l’esenzione della formazione continua, pubblicamente finanziata, dai limiti posti agli aiuti di Stato dovrebbe trovare ampio sostegno presso le istituzioni europee che destinano parte del Fondo Sociale Europeo (FSE) alla formazione permanente, con lo scopo di incentivare l’occupazione nell’Unione europea. In effetti, il FSE, nel solco delle strategie di Lisbona ed Europa 2020, ha riconosciuto l’apprendimento permanente tra gli asset strategici di finanziamento finalizzati alla piena occupazione, tanto nel periodo 2007-2013 quanto in quello 2014-2020.

Tra l’altro, lo strumento della formazione continua si sposa perfettamente con l’obiettivo della “crescita inclusiva” dettato dalla Strategia Europa 2020 e dalla derivata “Agenda per le nuove competenze e per l’occupazione” della Commissione europea, che pone tra gli obiettivi europei la modernizzazione dei mercati occupazionali e il miglioramento delle competenze personali in tutto l’arco della vita lavorativa.

Questo indirizzo, tra l’altro, è stato confermato dal più recente “Pilastro europeo dei diritti sociali” del 2017 che ribadisce il diritto di ogni persona all’apprendimento permanente – già previsto nell’articolo 14 della Carta sociale europea – finalizzato alla piena partecipazione nella società e alla ottimale gestione delle transizioni del mercato del lavoro.

Appare dunque paradossale ammettere l’uso dei fondi europei per tale scopo, ostacolando al contempo il medesimo impiego di risorse pubbliche nazionali.

 

In che modo si può riformare la normativa? È sufficiente a suo avviso ritoccare i valori stabiliti dal regime ‘de minimis’ oppure, come chiedono i sindacati delle imprese e dei lavoratori, la formazione dovrebbe essere esclusa del tutto?

In linea generale, ai sensi dell’art. 109 TFUE, il Consiglio ha stabilito quali categorie di aiuti possono essere considerati compatibili con il mercato interno e, pertanto, oggetto di esenzione dall’obbligo di notifica preventiva ex art. 108 (regolamento n. 994/98). In tal modo, il Consiglio ha autorizzato la Commissione ad adottare i c.d. “regolamenti d’esenzione” per gli aiuti rientranti in tali categorie.

Più recentemente, il regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione ha previsto, fino al 31 dicembre 2020, una esenzione dagli obblighi di notifica per determinati aiuti di Stato (c.d. de minimis), concessi in un determinato arco temporale e inferiori all’importo prestabilito (per la soglia ordinaria, non oltre i 200.000 euro nell’arco di tre esercizi finanziari).

Parallelamente, col regolamento (UE) n. 651/2014, la Commissione ha esentato gli aiuti all’occupazione e alla formazione, la quale “aumenta la riserva di lavoratori qualificati alla quale altre imprese possono attingere, migliora la competitività dell’industria dell’Unione e svolge un ruolo importante nella strategia dell’Unione a favore dell’occupazione”. Tuttavia, l’art. 31, sez. 5 prevede che gli aiuti per le attività organizzate dalle imprese per conformarsi alla normativa nazionale obbligatoria in materia di formazione (es. salute e sicurezza sul lavoro, acquisizione di patentini, etc…), sono escluse dalla esenzione. Ne deriva, quindi, che la formazione obbligatoria può essere finanziata solamente attraverso il regime de minimis.

In estrema sintesi, le imprese beneficiarie, in sede di presentazione di un piano per i finanziamenti, dovranno optare per l’applicazione di uno dei due regimi.

Ad ogni modo, uno dei problemi principali risiede nel fatto che le imprese necessitano di attingere ai finanziamenti pubblici primariamente per la formazione obbligatoria, esclusa dall’esenzione ai sensi del regolamento del 2014. Pertanto, l’intento del Legislatore europeo di incentivare la formazione continua, specialmente quando questa oltrepassi i confini della formazione obbligatoria, non pare di per sé raggiunto perché poco allineato alle reali esigenze delle imprese, soprattutto le più piccole. Proprio per tale ragione, esentare interamente la formazione continua dalla nozione di “aiuto di Stato”, senza alcun vincolo quantitativo e temporale, potrebbe stimolare la fruizione dei finanziamenti dedicati da parte delle imprese, svincolando al contempo i fondi interprofessionali dalle limitazioni poste alla loro erogazione.

 

Il governo nazionale può agevolare l’iniziativa che alcuni deputati italiani, di tutti gli schieramenti, stanno portando avanti presso le istituzioni europee con l’obiettivo di escludere la formazione dagli aiuti di Stato?

Non mi stupisce che la proposta abbia raccolto il consenso di parlamentari che rappresentano diversi schieramenti politici. D’altronde, l’ampia convergenza sulla soluzione è stata espressa dalle stesse parti sociali, unite nel riconoscere l’enorme potenziale degli strumenti di formazione continua nello sforzo di rilanciare l’occupazione.

Il Governo, dal canto suo, dovrebbe farsi promotore della proposta presso le istituzioni europee, tenendo anche conto che l’appello delle parti sociali è stato apertamente appoggiato da alcuni eurodeputati italiani, anch’essi di diverso colore politico.

La necessità di tutelare la libera concorrenza non può pregiudicare il soddisfacimento delle profonde esigenze sociali che attraversano l’Europa. D’altro canto, l’indirizzo della “crescita equa ed inclusiva” ci è stato fornito dalle stesse istituzioni europee.

In questa logica, la formazione continua è uno strumento operativo che risponde ai repentini cambiamenti del mondo del lavoro e della produzione, rafforzando le capacità concorrenziali transnazionali del mondo dell’impresa italiana (ed europea) nel suo insieme, piuttosto che delle singole aziende. 

Sicuramente condivisibile è infine l’intento dei proponenti di coinvolgere direttamente il Commissario europeo per l’economia - Paolo Gentiloni - che in questo momento rappresenta un autorevole interlocutore istituzionale, tra l’altro da sempre particolarmente sensibile alle questioni sociali.

 

Come immagina il futuro dei fondi interprofessionali e in che modo possono diventare ancora più efficaci ai fini di una migliore occupabilità?

È indubbio che i fondi interprofessionali abbiano assunto un ruolo essenziale nell’ambito della formazione permanente.

Soprattutto, i piani formativi elaborati dalle parti sociali garantiscono un effettivo allineamento della formazione con i fabbisogni dei lavoratori e delle imprese, sottraendo la progettazione formativa alle mere logiche di business che spesso governano questo ambito, a discapito della qualità formativa.

Tuttavia, a livello operativo, i fondi debbono affrontare non pochi ostacoli formali. In primis, il finanziamento della formazione continua è il risultato di un iter poco agevole, dal momento che deve sottostare alla disciplina degli appalti pubblici.

È intuibile, quindi, che i vincoli procedurali, sommati alle limitazioni poste a livello europeo, mettono in difficoltà l’operato dei fondi interprofessionali, impegnati come sono ad adempiere pienamente ai requisiti di legge.

In seconda battuta, condivido l’appello di Bruno Scuotto che chiede maggiori risorse pubbliche da destinare alla formazione continua. Accordare maggiori stanziamenti di denaro pubblico rappresenterebbe un ulteriore riconoscimento della centralità strategica ricoperta dagli strumenti formativi, nel più ampio scenario delle “politiche attive” finalizzate alla promozione dell’occupazione.

È poi inevitabile ricordare come l’efficacia della formazione continua dipenda anche dalla sua diffusione fra imprese e lavoratori. Di certo, è positivo il fatto che le microimprese aderenti ai fondi prevalgano sulle altre classi dimensionali, come riporta il XVIII Rapporto ANPAL sulla formazione continua. Ebbene, proprio per incentivare la fruizione dello strumento formativo da parte delle micro e piccole imprese, è necessario proseguire lungo la strada della semplificazione procedurale per l’ottenimento dei finanziamenti. In questa direzione già si muovono i dispositivi ad hoc che stabiliscono incentivi maggiorati per le imprese di dimensioni più piccole, così come i piani individuali finanziati con lo strumento agevole del voucher.

Infine, mi preme evidenziare che la diffusione dello strumento attiene anche alla distribuzione geografica, certamente influenzata dalla localizzazione dei fondi. In effetti, come sottolinea il Rapporto ANPAL, ogni fondo concentra almeno il 40% delle adesioni in una sola macro-area territoriale. Alla luce di questo dato, risulta fondamentale incentivare il coordinamento tra i differenti fondi interprofessionali con lo scopo di ampliare il panel delle offerte formative e di organizzare al meglio i finanziamenti. Al riguardo, potrebbero essere prese da esempio le sperimentazioni messe in atto da diverse Regioni italiane, tra cui spicca l’Emilia Romagna che dal 2012 ha attuato un modello di collaborazione istituzionale tra i fondi, nella logica di ottimizzare le strategie operative e di razionalizzare le risorse finanziarie.

 

 

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  • fidicom asvifidi
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